La Sentenza 116/2025 della Corte costituzionale sottolinea con fermezza l’importanza costituzionale della cooperazione e mette in luce come le politiche, imponendo vincoli sanzionatori eccessivi e limitando o attenuando gli aspetti promozionali, in modo paradossale disincentivino la cooperazione stessa.
“… All’esame nel merito delle questioni è opportuno premettere un inquadramento sistematico…” fonte: rivistaimpresasociale.it
si dichiara in un determinato momento della Decisione 116/2025 della Corte costituzionale. E quando questa è la base, si comprende che i giudici della Corte Costituzionale vogliono inserire una particolare situazione oggetto di valutazione in un contesto di analisi molto più vasto, come già era accaduto con la celebre sentenza 131/2020 che, originata da una controversia su una legge regionale dell’Umbria, ha segnato un punto di svolta nell’applicazione del principio costituzionale di sussidiarietà.
L’oggetto della sentenza
La questione, per quanto riguarda la sentenza 116/2025, riguarda la legittimità costituzionale, sollevata dal Consiglio di Stato, in merito a quanto stabilito dall’art. 12 del d.lgs. 220/2002, “Disposizioni relative alla riorganizzazione della supervisione sugli enti cooperativi…” in cui si sostiene che “… gli enti cooperativi che eludono la vigilanza o non adempiono a scopi mutualistici vengono esclusi…”. La questione concerne una cooperativa estinta d’ufficio per essersi sottratta all’azione di controllo, presumibilmente a causa della negligenza del proprio commercialista; tuttavia, questo è irrilevante. La questione riguarda la proporzionalità della sanzione inflitta, cioè la cancellazione della cooperativa, nelle due situazioni previste dall’articolo: eludere la vigilanza e violare gli scopi mutualistici; la seconda rappresenta una violazione che compromette la natura stessa della cooperativa, giustificando così il suo scioglimento, mentre la prima potrebbe apparire meno grave, poiché potrebbe verificarsi anche in un ente che rispetta i requisiti mutualistici; pertanto, conclude la Corte, dovrebbe essere sanzionata con una misura meno severa come la nomina di un commissario ad acta
La cooperazione, secondo la Corte
Non è il valore della questione a catturare il nostro interesse, bensì “la cornice sistematica” presentata prima della decisione successivamente presa. Che presenta una forte rappresentazione della cooperazione e delle politiche collegate ad essa.
La Corte inizia citando l’art. 45, primo comma, della Costituzione («la Repubblica riconosce il ruolo sociale della cooperazione mutualistica e priva di scopi di lucro. La legge sostiene e favorisce l’aumento attraverso i mezzi più appropriati e garantisce, con i controlli adeguati, il suo carattere e gli scopi») e si osserva come, nel contesto della visione pluralistica del sistema economico che definisce la Carta, “mentre per quanto riguarda l’iniziativa economica privata l’«utilità sociale» funge da principio limitante, alla cooperazione la Costituzione attribuisce una «funzione sociale», riconoscendola quindi come intrinseca a questo modello organizzativo, essendo produttiva di democrazia economica e mutua assistenza.” Questa – sono ancora parole della Corte costituzionale – “disposizione non comune” ha le sue radici nella convinzione, che si evidenzia nei lavori preparatori dell’art. 45, che “la cooperazione, attraverso le sue strutture fondate sui principi della mutualità e guidate da nobili obiettivi di libertà umana, rappresenta un valido strumento per proteggere i produttori e i consumatori dalla speculazione privata e per il miglioramento morale e materiale delle classi lavoratrici”. Questo prestigioso riconoscimento alla cooperazione derivava dalla capacità del movimento cooperativo di rispondere a un ampio spettro di necessità fondamentali (“… dalle cooperative di consumo, passando per quelle di produzione e lavoro, poi le banche popolari, le casse rurali, le mutue assicuratrici, i consorzi agricoli e le cooperative agricole…”) unendo differenti correnti culturali (“erano sorte cooperative social-comuniste, cattoliche e repubblicane…”), distinguendosi, come già evidenziato dalla sentenza 408/1989 della stessa Corte, per la “realizzazione congiunta del decentramento democratico del potere di organizzazione e gestione della produzione e della sua maggiore diffusione e distribuzione più equa”.
Le politiche, secondo la Corte
Se già è significativo questo richiamo ai principi delle peculiarità cooperative, di ancor maggiore rilevanza è ciò che segue. La Corte costituzionale sottolinea come, anche per nazioni apprezzabili, come la lotta alle cooperative fasulle, siano stati adottati provvedimenti dubbi e punitivi, come quello in esame. E questo è uno dei fattori che contribuiscono in modo significativo alla crisi del mondo cooperativo e ai suoi tassi di crescita negativi: “… a causa della diminuzione dei benefici fiscali, sono state implementate normative non molto favorevoli a questo tipo di impresa e [normative] che hanno agevolato la creazione di modelli imprenditoriali quasi concorrenti…”
La Corte osserva che la legislazione fatica a promuovere effettivamente l’«aumento» della cooperazione «attraverso i mezzi più appropriati» come previsto dall’art. 45 Cost. e potrebbe invece generare un effetto di chilling, ovvero un disincentivo nell’esercizio di un diritto o in comportamenti positivi per paura delle sanzioni; ed è proprio per questo che la Corte considera incostituzionale la norma in esame che “potrebbe determinare un effetto deterrente sull’esercizio di un’attività che non solo costituisce un diritto garantito dalla Costituzione dei consociati (l’organizzazione dell’impresa), ma che riveste anche un’importanza sociale particolare, come indicato dall’art. 45 della Costituzione e dalle ulteriori disposizioni che […] si concretizzano nella dimensione collettiva cooperativista”.
Perché questa sentenza è fondamentale
La Corte avrebbe certamente potuto esprimersi con minori dettagli: avrebbe potuto criticare l’articolo in oggetto che punisce con la stessa e severa sanzione due comportamenti che in realtà presentano gravità ben differente, ciò sarebbe stato sufficiente per l’impatto sulla specifica questione. Ha avvertito la necessità di esprimere ulteriormente: non soltanto, a causa di un irrazionale principio di sospetto, è costantemente sottintesa la massima serietà dell’azione, ma questo avviene a scapito di una forma riconosciuta dalla costituzione per la sua funzione sociale, come la cooperazione.
Questo non implica affatto impunità o indulgenza nei confronti della responsabilità basata su un favore assegnato in anticipo; piuttosto, sottolinea come la funzione costituzionale della cooperazione suggerirebbe di considerare un sistema sanzionatorio non dissuasivo e richiederebbe (anche se l’argomento è affrontato solo in maniera indiretta nella Sentenza) di rivedere in chiave promozionale il sistema di incentivi. In sintesi, si offre al legislatore un preciso orientamento affinché ricordi il ruolo sociale che la Costituzione assegna alla cooperazione e si comporti di conseguenza per incentivare i cittadini a partecipare in questo modo alla realizzazione degli interessi collettivi.
Si tratta di una sentenza netta e sorprendente rispetto alle linee guida che, da oltre venti anni, orientano la maggior parte delle politiche basate sul principio di neutralità istituzionale e competizione: in altre parole, quando è necessario mobilitare risorse ed energie per un interesse pubblico (un esempio è il PNRR o altri casi di programmazione), il legislatore si focalizza sulla definizione di obiettivi e scopi senza preoccuparsi dei soggetti privati che potrebbero essere coinvolti: chiunque voglia affrontare tale sfida – sembra comunicare il legislatore – lo farà, sceglierà il migliore e questo è tutto.
Carlo Borzaga avrebbe apprezzato
La concezione che le caratteristiche istituzionali di un ente – i suoi obiettivi statutari, la sua governance, il sistema di ripartizione degli utili, ecc. – ne influenzino l’idoneità per una specifica funzione risulta difficile per l’economista tradizionale. L’approccio istituzionalista è affascinante in ambito convegnistico, ma è trascurato nella definizione delle politiche, anche in contrasto con ogni evidenza e buon senso. Carlo Borzaga, economista istituzionalista, si distinse come uno dei rari contemporanei nel suo settore a sostenere che il meccanismo competitivo non fosse il regolatore più efficiente nella gestione dei sistemi di welfare (L’art. 55: come emancipare il Terzo settore e i servizi sociali dalla servitù della competizione), caratterizzati da ampi spazi di asimmetria informativa. Nel campo dell’integrazione lavorativa abbiamo redatto insieme l’editoriale L’inserimento lavorativo, nonostante le politiche, sottolineando che le cooperative sociali dedicate all’inserimento lavorativo erano state trascurate in tutte le principali iniziative di politica del lavoro avviate da governi di diverse ideologie, sempre per lo stesso difetto: considerare le forme d’impresa irrilevanti, da cui l’estrema riluttanza nel riconoscere la cooperazione come alleato nelle politiche pubbliche.
Particolarmente nell’ultima fase della sua esistenza e del suo pensiero, reintegrò la cooperazione come fulcro della sua analisi, a partire dalle peculiarità istituzionali che oggi la Corte menziona nella sentenza 116/2025. Non credo che negli ultimi venti anni di euforia mercatista abbia avuto l’occasione di leggere un’affermazione elevata e autorevole che sottolinei con nettezza l’importanza dei meccanismi istituzionali e la necessità che le politiche li tengano in considerazione. Ma credo che avrebbe molto gradito.