Lea e regionalismo asimmetrico: non cambia ancora troppo
Si parla da tempo della cosiddetta autonomia differenziata come di una riforma storica che cambierà le sorti di milioni di cittadini dello Stato italiano. Ovviamente ciò impatta fortemente il settore della sanità e dei servizi ad essa connessi (socio-sanitario e socio-assistenziale). Con il recente Ddl Calderoli sul “regionalismo asimmetrico” si è posta una ulteriore pietra miliare in quello che sembra essere necessariamente un percorso lento e lungo. Ma quello che risulta evidente è che – per ora e nella sostanza – non troppo possa cambiare nella organizzazione istituzionale dello Stato. Ciò a causa della struttura non facilmente “editabile” del costrutto legislativo (a partire da quello costituzionale in giù), anche per come storicamente risulta formato il parlamento italiano. Tra l’altro quello italiano è un popolo che, per pigrizia mentale e per il peso di un retaggio culturale molto ingombrante, si muove molto lentamente verso le innovazioni. Ci sono tante cose da affrontare per realizzare tale imponente riforma, che riguardano nodi cruciali dell’organizzazione statale, che per decenni non sono stati sciolti. Innanzitutto la questione della trasparenza nella dichiarazione fiscale del cittadino medio e della sua capacità di gettito a livello locale (che andrebbe ad influire sulla distribuzione dei fondi perequativi per i servizi eccedenti quelli essenziali dei LEP) e la conseguente ridefinizione della capacità di accertamento e riscossione degli enti territoriali.
Per questo non ancora troppo cambierà nel frattempo, rispetto a quello che è già cambiato finora, per tutto il settore dei servizi socio-sanitari e socio-assistenziali. E’ un momento di transizione! La struttura dell’organizzazione istituzionale dello Stato ha ancora strumenti che rendono difficile creare una vera e propria asimmetria nella qualità e quantità dei servizi offerti a livello locale. I LEA (Livelli Essenziali di Assistenza), così come ridefiniti dal DPCM del 12 gennaio 2017 costituiscono un “vincolo” (se non altro teorico-ideale) all’eccessivo disequilibrio tra le regioni. Il CLEP infatti ha confermato i LEA del suddetto DPCM ed ha posto di fatto un limite alla possibilità/volontà del Ddl Calderoli di spingersi oltre nella creazione di una base giuridica per una più forte asimmetria a livello locale.
Verso un sistema sempre più privatistico
Quello che invece risulta evidente ed in corso di veloce trasformazione è che si stia passando da una gestione prettamente statale (con il sistema dello stato sociale) ad una di tipo sempre più prettamente privatistica. E’ una tendenza globale in atto non da oggi e che continuerà anche con le riforme in corso. Anche i budget pubblici destinati ai servizi socio-sanitari ed assistenziali si riducono sempre di più, lasciando spesso il cittadino nella necessità di acquistare sul mercato le prestazioni di cui ha bisogno. Oppure obbligando le imprese sociali che operano nel settore a trovare nuovi sistemi per reperire fonti finanziarie necessarie a coprire i costi operativi.
Auspicabile un sistema di welfare community
Per questo si sta rivoluzionando profondamente il rapporto tra domanda e offerta di servizi sanitari, sociali ed assistenziali. Per far si che la limitazione dei budget pubblici per tali servizi non lasci sguarnite intere fasce di popolazione, sarebbe opportuno guardare molto al sistema di stampo anglosassone cosiddetto del Welfare Community. Bisognerebbe, ad avviso di chi scrive, promuovere un profondo cambiamento culturale in tutto il sistema: organi dello Stato a livello centrale e locale, sistema delle imprese sociali e delle organizzazioni del Terzo Settore e cittadini. Date anche le sfide cui oggi ci troviamo di fronte, in un mondo sempre più complesso, fatto anche e soprattutto di nuovi bisogni sanitari e sociali, legati a:
- cambiamenti culturali ed alle abitudini di consumo (che generano nuove forme di dipendenze – videogiochi, droghe, gioco d’azzardo, pornografia, shopping compulsivo, ecc)
- migrazioni di massa (che inevitabilmente ampliano la “platea del fabbisogno” sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo – data l’importazione…per es… di malattie tropicali e sub-tropicali da noi sconosciute o debellate)
- cambiamenti climatici, che rendono possibile la vita di organismi patogeni alle nostre latitudini prima impensabili e che rendono più complesso il trattamento di persone con disabilità di vario tipo, anche per il tipo di attrezzature e strumentazioni richieste nelle strutture residenziali, ecc.
- nuove forme di povertà che generano bisogni prima impensabili
Welfare Community: cittadini più informati come agenti del processo di decision making
Una delle conseguenze più forti di questo tipo di cambiamento sociale è la necessità di avere gruppi di cittadini con una maggiore conoscenza e consapevolezza delle dinamiche in atto e del modo in cui tali sistemi funzionano. La (fin troppo lenta) evoluzione e diffusione della conoscenza in materia di organizzazioni economiche e mercato, ha portato finalmente (negli ultimi decenni) a considerare molti gruppi sociali (cittadini/consumatori in primis) come stakeholder piuttosto che come semplici elementi esterni da non considerare nel processo di decision making aziendale, se non come target di comunicazioni pubblicitarie. Tale fattore va valorizzato e portato ad ulteriore sviluppo. Sarebbe benefico, in un processo di organizzazione di un “nuovo mercato” di prestazioni socio-sanitarie e socio-assistenziali, un ruolo di maggiore spicco e responsabilità per gruppi di cittadini più informati, come “tramite” tra domanda e offerta. Tali gruppi potrebbero svolgere un ruolo fondamentale, definibile come quello di “facilitatori” o (con una parola molto in voga oggi) “influencer“, e come “regolatori“, per ottimizzare e semplificare appunto l’incontro tra domanda e offerta, facendo si che il sistema possa sviluppare un livello soddisfacente di prestazioni di tale tipo, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo. Da un parte facilitatori e influencer in grado di orientare la domanda e far si che un certo tipo di fabbisogno venga soddisfatto dal giusto tipo di offerta. Da un altro lato regolatori, una sorta di “comitato etico” in grado di esprimere una valutazione sul livello qualitativo dei servizi offerti. In questo senso i social media possono offrire un utile “strumento di comunicazione orizzontale” per far espletare questo ruolo da “cittadinanza attiva”, oltre che un’arena competitiva pubblica e trasparente nell’ambito della quale i tre soggetti decisori possono incontrarsi e confrontarsi. In questo modo potremmo avere un sistema basato su tre soggetti capaci di fatto di esprimere un potere concreto ed equilibrato. Invece del solo “vecchio” soggetto statale (divenuto per lo più un elefantiaco ed inefficiente organismo burocratico), che ha mostrato tutte le crepe nel suo modo di funzionare e che sembra oramai finito, non per difetto “costituzionale” del modello di welfare state, ma per incapacità da parte dei cittadini di meritare un sistema del genere.